Film/Documentari

I Pirati di Silicon Valley

I pirati di Silicon Valley (Pirates of Silicon Valley) è un film per la televisione del 1999 diretto da Martyn Burke ed interpretato da Noah Wyle e Anthony Michael Hall.

I pirati di Silicon Valley
Bill Gates (Anthony Michael Hall) a colloquio con il management IBM
Titolo originale Pirates of Silicon Valley
Paese Stati Uniti d'America - Anno 1999
Formato film TV - Genere biografico
Durata 95 min
Lingua originale inglese - Rapporto 1,33:1
Crediti - Regia: Martyn Burke - Sceneggiatura: Paul Freiberger, Michael Swaine, Martyn Burke

Interpreti e personaggi

Noah Wyle: Steve Jobs / Anthony Michael Hall: Bill Gates / Joey Slotnick: Steve Wozniak
Josh Hopkins: Paul Allen / John DiMaggio: Steve Ballmer / J. G. Hertzler: Ridley Scott
Wayne Péré: Captain Crunch / Sheila Shaw: Madre di Wozniak / Gema Zamprogna: Arlene
Gailard Sartain: Ed Roberts / Allan Kollman: lo psicoterapeuta di Jobs
Richard Waltzer: impiegato Apple / Marcus Giamatti: Dan / Melissa McBride: Elizabeth
Jeffrey Nordling: Mike Markkula / Mark Worden: Chris Larson / Kelly Mullis: Hooker
René Rivera: Pimp / Allan Royal: John Sculley / Cardella DeMillo: Ella Fitzgerald

Produttore Leanne Moore - Produttore esecutivo Joseph Dougherty, Steven Haft, Nick Lombardo
Prima visione: 20 giugno 1999 - Rete televisiva TNT

Tratto dal libro Com'era verde Silicon Valley di Paul Freiberger e Michael Swaine, il film TV racconta, in forma di cronaca romanzata, di come i giovani Steve Jobs e Bill Gates, a metà degli anni settanta, arrivarono a realizzare il sogno del personal computer, in una corsa che culmina nel 1984 con l'introduzione sul mercato dell'Apple Macintosh, e del seguente trionfo del sistema operativo della Microsoft di Gates su quello della Apple di Jobs.

Il film viene narrato con una struttura flashback alternativamente da Steve Wozniak, cofondatore della Apple con Jobs, e Steve Ballmer, dirigente della Microsoft, interpretati rispettivamente da Joey Slotnick e John DiMaggio. Ha un andamento rapido, concitato, sempre velato di ironia.

Trama

«Non voglio che pensiate sia... solo un film, un processo di conversione di elettroni e impulsi magnetici in forme, figure e suoni; no! È ben altro! Siamo qui per cambiare l'universo, altrimenti perché saremmo qui? Stiamo creando una coscienza completamente nuova, come fanno gli artisti o i poeti. Così dovete vedere la cosa: noi stiamo riscrivendo la storia del pensiero umano.»

(monologo di Steve Jobs per illustrare lo spot pubblicitario dell'Apple Macintosh)

L'inizio del film si apre sul set cinematografico dello spot televisivo della Apple Inc., la cui regia fu affidata a Ridley Scott, ed è una sorta di ribellione contro il "Grande Fratello" (personificato nella IBM). Poi Steve Wozniak inizia a raccontare di quando costruiva blue box (ovvero congegni per telefonare gratis) che vendeva con Steve Jobs, allora entrambi capelloni. Racconta di quella volta che telefonò alla Città del Vaticano chiedendo di parlare con il pontefice che allora stava dormendo.

Nonostante il parere contrario dell'amico, Woz, dopo essere stato perquisito dalla polizia, decise di smettere di costruirne e passare a ciò che di lì a poco avrebbe rivoluzionato il mondo: il Personal Computer. Poi comincia la narrazione della storia della Microsoft.

Bill Gates si trovava all'Università di Harvard e discuteva con i suoi amici (Steve Ballmer e Paul Allen) di pornografia giocando a poker. Ed è proprio con Allen che comincia a scrivere il Basic per l'appena uscito computer Altair. Poi Paul parte per Albuquerque per consegnare il programma, mentre Bill si ricorda improvvisamente che hanno dimenticato di scrivervi il loader. L'affare va comunque in porto e alla piccola azienda viene regalato il computer.

Intanto Wozniak prosegue col suo progetto del PC, mentre Jobs si destreggia tra i suoi problemi personali. All'Homebrew Club, dove ogni appassionato mostrava le sue creazioni a basso budget, Jobs mostra la fantascientifica innovazione e riesce a venderne ben 50 dichiarando guerra al colosso IBM. Il giorno dopo, prima di cominciare la costruzione dei computer, Wozniak è costretto a proporre l'acquisto alla Hewlett-Packard con la quale aveva un contratto. Ma il loro dirigente rifiuta con la celebre e perentoria frase «Ma che diavolo può farsene la gente comune dei computer?». E qui comincia ufficialmente la storia della Apple Inc. e l'entrata di Steve Jobs tra gli uomini d'affari, simboleggiata dal cambio di look. Un Jobs rasato accoglie allora nel suo garage, dove si stavano costruendo i mini-computer, Mike Markkula, che era interessato ad investire 250.000 dollari. Intanto i fondatori della Microsoft vanno alla MITS ad Albuquerque.

L'accordo con la produttrice dell'Altair 8800 era di 15 dollari a licenza per il Basic, ma Bill Gates riesce a convincere Ed Roberts a pagare il doppio. La società si stabilisce in un motel ed assume un paio di impiegati. Da lì al 1977 i due riescono ad acquistare un piccolo palazzo ed estendere i loro affari. I due Steve sono alla fiera del computer con poche macchine, ma intenzionati a venderne molte. La trasformazione di Jobs procede: si taglia i baffi e cambia stile nel vestire. La gente si accalca sullo stand della Apple, e quando arriva Bill Gates, questo viene totalmente ignorato da Jobs e rinuncia a proporre l'acquisto del Basic. La Apple ora è un'azienda in piena regola, con decine di impiegati e un enorme palazzo. Steve Jobs intanto viene a sapere che sta per avere un figlio da Arlene, ma rifiuta di crederci scaricando la sua rabbia sui dipendenti. Steve Ballmer intanto si unisce alla Microsoft mentre Bill Gates prepara un colloquio con la IBM, con cui riesce ad ottenere un contratto riguardante il non ancora sviluppato Disc Operating System (basato su DOS). Questo contratto prevedeva di cedere in licenza con ogni PC IBM il sistema operativo. Ottenuto l'accordo con il colosso dell'informatica, Paul Allen comprò dalla Seattle Computer Products il clone a 16 bit del CP/M, chiamato QDOS. E da qui cominciò il successo della Microsoft.

Alla Apple va tutto a gonfie vele. John Sculley entra nella società come amministratore delegato. Mentre Jobs è alle prese con la questione della paternità, Wozniak ha dubbi sul comportamento del socio. Jobs va a far visita ad Arlene e scopre di avere una bambina; insieme concordano sul nome Lisa.

Allora Steve chiede alla Apple di creare il computer Lisa, "rubando" le idee di base alla Xerox, dove la dirigenza non dava credito al progetto del sistema operativo grafico e del mouse (per esattezza, per poter accedere alle idee di base, a Xerox venne data la possibilità di acquistare 100.000 azioni Apple per un valore di un milione di dollari, con il patto di poter accedere al PARC e visionare i loro lavori). Anche Bill Gates decide di "rubare" le nuove idee emergenti, e si reca con i suoi tre soci alla Apple. Jobs, fiero, gli presenta alcuni programmatori e il Macintosh. Gates allora cerca di stringere accordi per vendere software e facendo leva sul desiderio di Steve di annientare l'IBM, riesce ad ottenere 3 prototipi di Mac. Steve Wozniak, appena uscito dall'ospedale per un incidente, non può fare a meno di notare la trasformazione subita dall'azienda per via di Jobs che ha messo la squadra Macintosh contro quella dell'Apple II, e torna al college, lasciando l'azienda. Alla Microsoft il progetto Windows procede in segreto, ma a rilento. Jobs viene a saperlo e, su tutte le furie, chiede lumi a Bill. Gates pacatamente respinge le accuse, convincendo Steve che non è vero.

Alla presentazione del Macintosh viene trasmesso lo spot (di cui si è parlato all'inizio del film). Subito dopo a Steve Jobs vengono consegnati computer NEC venuti in Giappone, con il software grafico sviluppato da Microsoft. Il presidente della Apple allora accusa Bill Gates di aver rubato le idee, ma Gates ribatte facendo riferimento alla Xerox ed al fatto che le idee originali fossero loro. Steve allora afferma che comunque il proprio sistema è migliore, ma Gates risponde tranquillamente che "la cosa non ha importanza". Tra le ultime immagini c'è un brindisi a Steve Jobs promosso alla sua festa di compleanno da John Sculley. Poi viene raccontato ciò che è successo successivamente, pochi mesi dopo il brindisi: John Sculley licenzia Steve Jobs; Steve Wozniak insegna informatica ai bambini e finanzia un corpo di ballo; Lisa fa parte della nuova famiglia di Steve Jobs; Steve Jobs è tornato alla Apple nel 1997; la Microsoft possiede parte della Apple (al 1997); Bill Gates è l'uomo più ricco del mondo.

The Social Dilemma

Questo documentario di Jeff Orlowski esplora come la dipendenza e la violazione della privacy siano caratteristiche, "non bug", delle piattaforme dei social media.

Che i social media possano creare dipendenza e dare i brividi non è una rivelazione per chi usa Facebook, Twitter, Instagram e simili. Ma nel documentario di Jeff Orlowski "The Social Dilemma", i disertori coscienziosi di queste aziende spiegano che la perniciosità delle piattaforme di social networking è una caratteristica, non un bug.

Essi sostengono che la manipolazione del comportamento umano a scopo di lucro è codificata in queste aziende con una precisione machiavellica: le notifiche a scorrimento e push infinito mantengono gli utenti costantemente impegnati; le raccomandazioni personalizzate utilizzano i dati non solo per prevedere ma anche per influenzare le nostre azioni, trasformando gli utenti in facili prede per gli inserzionisti e i propagandisti.

Come nei suoi documentari sul cambiamento climatico, "Chasing Ice" e "Chasing Coral", Orlowski prende una realtà che può sembrare troppo colossale e astratta per essere afferrata da un profano, figuriamoci se ci si preoccupa, e la riduce a un livello umano. In "The Social Dilemma", egli rielabora uno dei più antichi tropi del genere horror - il dottor Frankenstein, lo scienziato che si è spinto troppo oltre - per l'era digitale.

In interviste ben curate, Orlowski parla con uomini e (alcune) donne che hanno contribuito a costruire i social media e che ora temono gli effetti delle loro creazioni sulla salute mentale degli utenti e sulle basi della democrazia. Le loro testimonianze ammonitorie sono state rilasciate con la forza di un lancio iniziale, utilizzando aforismi e analogie concise.

"Mai prima d'ora nella storia 50 designer hanno preso decisioni che avrebbero avuto un impatto su due miliardi di persone", dice Tristan Harris, un ex esperto di etica del design di Google. Anna Lembke, un'esperta di dipendenze dell'Università di Stanford, spiega che queste aziende sfruttano il bisogno evolutivo del cervello per la connessione interpersonale. E Roger McNamee, uno dei primi investitori in Facebook, fornisce un'accusa agghiacciante: La Russia non ha hackerato Facebook, ha semplicemente usato la piattaforma.

Molto di tutto ciò è familiare, ma "The Social Dilemma" si spinge oltre, intercalando le interviste con scene di fantasia in stile P.S.A. di una famiglia di periferia che soffre le conseguenze della dipendenza dai social media. Ci sono cene in silenzio, una figlia adolescente (Sophia Hammons) con problemi di immagine di sé e un figlio adolescente (Skyler Gisondo) radicalizzato dalle raccomandazioni di YouTube che promuovono una vaga ideologia.

Questa narrazione romanzata esemplifica i limiti dell'enfasi talvolta iperbolica del documentario sul mezzo a scapito del messaggio. Ad esempio, gli interlocutori del film attribuiscono l'aumento delle malattie mentali all'uso dei social media, ma non riconoscono fattori come l'aumento dell'insicurezza economica. Polarizzazione, rivolte e proteste sono presentati come sintomi particolari dell'era dei social media senza contesto storico.

Nonostante le loro veementi critiche, gli intervistati di "The Social Dilemma" non sono tutti dei dissidenti; molti suggeriscono che con i giusti cambiamenti, possiamo salvare il bene dei social media senza il male. Ma l'accaparramento di soluzioni personali e politiche che presentano nel film confonde due distinti obiettivi di critica: la tecnologia che provoca comportamenti distruttivi e la cultura del capitalismo incontrollato che la produce.

Ciononostante, "Il dilemma sociale" è straordinariamente efficace nel lanciare l'allarme sull'incursione del data mining e della tecnologia manipolativa nella nostra vita sociale e oltre. Il film di Orlowski non è di per sé risparmiato dal fenomeno che esamina. Il film è in streaming su Netflix, dove diventerà un altro nodo dell'algoritmo basato sui dati del servizio.

Nothing to Hide

Bullismo e Cyberbullismo, ce ne parla Disconnect

Disconnect” è un film drammatico di Henry-Alex Rubin del 2012 che, con sguardo attento e critico, offre spunti di riflessione importanti sul tema dell’invasione della tecnologia virtuale nella vita reale.

I protagonisti e le loro storie si incontrano e si intrecciano in una trama che si costruisce sul virtuale ma le cui conseguenze sono tutte tragicamente reali, sia che si tratti di bullismo online, di una carta di credito clonata o di ragazzi che vendono il loro corpo di fronte ad una webcam. Dice Andrew Stern, scenografo di “Disconnect”: “Nel film ho incrociato varie storie che raccontano come la tecnologia che ci unisce in rete, può molto spesso scollegarci nella e dalla vita di tutti i giorni.
Disconnect parla del bisogno di comunicare che tutti hanno, che lo si faccia tramite un computer, uno smartphone o semplicemente in maniera diretta con la persona che si ha di fronte: poiché moltissime persone hanno scelto di vivere principalmente online (scambiandosi messaggi, tweet ed e-mail) la comunicazione e la reale interazione umana sono diventate sempre meno importanti e frequenti. Questo è il tema del film.” 

Il film ci presenta le problematiche della società moderna,  ci parla di solitudine, di vulnerabilità, di relazioni, di comunità…di speranza.

Ben è uno dei protagonisti. La sua storia ci porta dentro il tema del Cyberbullismo e il regista rappresenta in maniera così reale la vita dei tre adolescenti da attivare nello spettatore sentimenti tanto di dolore e rabbia, quanto di compassione e speranza. Ben mostra tutte le difficoltà e l’imbarazzo di chi, vittima di cyberbullismo, non riesce a chiedere aiuto; i due ragazzi cyberbulli non sono dipinti in maniera stereotipata, non sono i cattivi senz’anima ma adolescenti che vivono paradossalmente le stesse insicurezze della loro vittima; ragazzi che non si rendono conto di ciò che stanno davvero facendo, fino a quando le conseguenze del loro gesto non si presentano a chiedere il conto. 

L’adolescenza rappresenta una fase di passaggio critica ma bellissima. I ragazzi sentono forte la spinta verso l’esplorazione e la scoperta, verso la ricerca di nuove esperienze. 

Questa esplorazione spesso li mette in crisi, non si sentono adeguati, non si sentono riconosciuti e reagiscono male alle frustrazioni. E tutto questo è normale, anche se a noi genitori preoccupa un po’.

Le personalità più fragili possono però essere prese di mira per il bisogno, anch’esso tipico di questa età, di emergere, di farsi notare, di sperimentarsi in una relazione di potere. 

Nell’era dei social e dei selfie, tutto pare amplificato e i genitori hanno la sensazione sempre più tangibile di perdere ogni forma di controllo e sostegno sui propri figli, fanno fatica a seguire i loro tumulti e a comprendere i loro bisogni, che oscillano fra esigenza di allontanamento e richiesta di accudimento. Musi lunghi, occhiatacce e risposte lapidarie diventano, piano piano, quasi la norma e i tentativi di dialogare rimbalzano contro un muro di silenzio, dietro il quale i ragazzi tendono a rifugiarsi.

“In una società ipertecnologica, in cui le possibilità di connessione sono costanti, gli adolescenti sono abituati ad utilizzare le nuove tecnologie fin da bambini per giocare, comunicare, tenersi aggiornati, imparare, fare acquisti. “Always on”: per relazionarsi con gli amici, esprimersi e comunicare, condividere opinioni, foto e video, a tal punto che spesso i ragazzi sacrificano le ore di sonno per rimanere connessi nella penombra della stanza in piena notte. 

Le nuove tecnologie hanno infatti rivoluzionato linguaggi e comportamenti dei giovani, influenzando di conseguenza le relazioni interpersonali, al punto che spesso la dimensione online ha la stessa valenza di quella reale o si affianca ad essa in modo complementare. 

Bambini e adolescenti passano molto tempo ogni giorno online, come dimostrano sia ricerche internazionali, che nazionali: per questo episodi di cyberbullismo in particolare tra preadolescenti ed adolescenti sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni.

Il cyberbullismo si può definire come l’uso delle nuove tecnologie per minacciare, intimidire, mettere a disagio ed escludere altre persone, spesso percepite come più deboli. In tale fenomeno, le prepotenze (attuate in modo intenzionale e ripetuto) hanno la capacità di propagarsi all’istante, con un assenza di limiti spazio-temporali. Il termine definisce un comportamento intenzionale e ripetuto nel tempo. Le prevaricazioni possono essere messe in atto da un singolo o dal gruppo e spesso ciò avviene sotto gli occhi di un vasto pubblico di spettatori. La vittima ha la sensazione di poter essere raggiunta dovunque si trovi, senza distinzione tra pubblico e privato, tra giorno e notte.

Da una ricerca europea sul bullismo e la sua incidenza, svolta nell’ambito dell’ Europe Europe Anti Anti-Bullying Bullying Project Project (2013), su un campione di ragazzi provenienti da 6 Paesi EU, e svolta in Italia da Telefono Azzurro, su un campione rappresentativo a livello nazionale, composto da 5042 studenti (età 12-18 anni), che frequentavano diverse scuole secondarie di I e II grado – riporta che il 15,9% dei ragazzi italiani è vittima di bullismo online o offline.” 

(Dal Dossier del Telefono Azzurro sul Cyberbullismo).

Il rischio per i giovani e i giovanissimi di essere vittima o spettatore di atti di bullismo è quindi elevato e purtroppo, oggi più di ieri, può capitare, dall’altra parte, di scoprire che i propri figli agiscano come non avremmo mai immaginato. La differenze fra bullismo e cyberbullismo è proprio questa. Nelle chat o su altri social diviene facile spingersi un po’ oltre e essere complici di qualche “scherzo” che colpisce chi ne è vittima più di quanto non si sia pensato. 

Per questo motivo è importante che parliate di questi temi con i vostri figli, che li teniate un po’ d’occhio ma soprattutto è fondamentale che loro comprendano bene la differenza che corre fra “scherzo” e atto di bullismo.

Quali sono le domande giuste e quelle da evitare?

Quanto è opportuno insistere nel voler sapere?

Quale è il confine fra il rispetto della loro privacy e il vostro obbligo a vigilare su di loro?

E cosa c’è dietro il loro silenzio o dietro un comportamento che vi appare eccessivo?

Il mondo dell’adulto codifica il silenzio come una cosa negativa. In realtà quel silenzio è fondamentale ai ragazzi/e per la costruzione della propria identità e anche per riflettere su ciò che li circonda e li coinvolge. Lo stesso vale per l’umore e per gli agìti tipici di questa età; diciamo che gli ormoni la fanno da padrone e che lo sviluppo delle aree cerebrali deputate alla riflessione ancora non si è concluso.

Purtroppo però dietro quel silenzio, dietro quell’isolarsi può celarsi una difficoltà, un bisogno e un’esperienza di umiliazione o un senso di colpa, che non si riesce a condividere con i propri genitori per vergogna o per timore.

E allora potreste vedere Disconnect insieme e parlarne un po’… 

Stabilite con i vostri figli limiti, libertà e regole; sappiate rispettare i loro spazi e i loro segreti ma ricordatevi che crescere per tappe e per conquiste e con l’occhio vigile del genitore, è fondamentale. Forse ai nostri figli ultimamente abbiamo dato in abbondanza e concesso troppo, anticipando ogni tanto i tempi”.

Fonte: https://tuttosesto.net/per-altre-vie-bullismo-e-cyberbullismo-ce-ne-parla-disconnect/

“La forma della voce” ovvero come imparare ad ascoltare ed amarsi grazie ad un anime su disabilità e bullismo.

A Silent Voice  – La forma della voce” è un film d’animazione del 2016 diretto da Naoko Yamada e tratto dall’omonimo manga di Yoshitoki Ōima.
Il protagonista è Shoya Ishida, un ragazzino di undici anni come tanti altri, preso dalle sue giornate condite da amici, videogiochi e scuola. Un giorno il suo mondo viene “minacciato” da una nuova compagna di classe: Shoko Nishimija. Giunta tra i nuovi allievi, il maestro le chiede di presentarsi, ma piomba il silenzio. L’insegnante le dà un colpetto sulla spalla e Nishimija tira fuori dalla sua cartella rossa un quaderno con su scritto: “Molto piacere, mi chiamo Shoko Nishimija. Mi piacerebbe diventare vostra amica usando questo quaderno”.

Shoko è sorda. È dolce, delicata, con i capelli a caschetto di un castano molto chiaro, un nocciola tendente al rosa. Purtroppo la maggior parte dei suoi coetanei non riesce ad accettarla e la piccola Shoko diventa presto vittima di bullismo.

Amici!

Sarà proprio Ishida a tormentarla maggiormente, ma – come afferma un vecchio detto – raccogli ciò che semini. La vita insegnerà tanto a Ishida e il senso di colpa gli camminerà accanto costantemente. Sarà lui stesso a definirsi “mostro” canticchiando “Voglio vedere il mare, voglio amare una persona. Anche se sono un mostro, il mio cuore è …”. Ormai vede i volti della gente segnati da una grande X, tiene sempre lo sguardo basso, non riesce a fidarsi di nessuno e si vergogna delle sue azioni.

La vita è una burlona, si sa, e ci si può ritrovare ad essere vittima delle proprie azioni. In un certo senso, Ishida proverà ciò che ha provato Shoko e i loro destini saranno legati da un filo che attraversa tempo e spazio.

È difficile non rivelare troppo della trama e allo stesso tempo far comprendere l’intensità di questo capolavoro. “A Silent Voice” è uno di quei film che va visto conoscendo meno dettagli possibile. Perciò non aggiungiamo altro.
Ciò che si può certamente dire è che non è solo una storia di bullismo e discriminazione. È uno spunto di riflessione sulla vita, sul suo valore, su chi scegliamo di essere e sull’amore che bisogna provare per se stessi.
Amarsi, è questo il cuore del film.

È la storia di ragazzi che provano emozioni molto forti, segnati in vario modo dalla loro adolescenza, che si interrogano sul senso della vita, sulle loro azioni, sul vero significato dell’amicizia.

  • Nagatsuka, ascolta un momento. Secondo te qual è la definizione di “amico”?
  • Senti Ishida, allunga un po’ la tua mano … Ecco come si diventa amici. Credo che l’amicizia sia qualcosa che vada al di là delle parole o della logica. Non ha bisogno di alcun requisito. Sarebbe ridicolo.

Un semplice gesto, una mano dentro l’altra, un sentimento sincero.
Questo basta per essere amici.
A volte, però, da ragazzini non è tanto semplice comprenderlo e così c’è chi si preoccupa troppo degli altri, chi si annulla, chi, al contrario, pensa solo a sé e chi cerca di crescere in fretta per sfuggire a determinate fasi della vita. Durante l’adolescenza, poi, il bullismo ha un potere troppo spesso sottovalutato, mentre può condizionare il futuro delle persone, anche persone diverse tra loro, ma che mostrano in qualche modo le ferite della stessa spada.

L’opera di Naoko Yamada è anche un monito al mondo dell’istruzione.
I tentativi di inclusione e integrazione ci sono, ma non funzionano. Forse qualcosa deve cambiare, forse bisogna agire subito, comunicare con le famiglie, ascoltare gli studenti, conoscerli e capirli. Non è sufficiente qualche breve lezione sulla lingua dei segni, non aiuta rimproverare gli alunni per i loro errori, se prima non si fa in modo di indicare loro la strada giusta, se non si insegna a conoscere e rispettare le altre persone, custodi di esperienze e vite diverse.

La mente dello spettatore segue la storia e i mille sentimenti di cui è intrisa, catturato dal piano in sottofondo, dai colori tenui, dalle immagini estremamente dettagliate e dall’armonia e l’ordine dettati dalle numerose simmetrie.

Gli specchi d’acqua colorano e illuminano il mondo di Ishida e Nishijmia, attraversati da carpe bianche e rosse. La carpa indica caparbietà, coraggio, è il samurai che non trema davanti al pericolo e simboleggia ciò che i nostri piccoli personaggi desiderano per se stessi e per i loro amici.

Il film, vincitore del premio come migliore film d’animazione al 26° Japan Movie Critics Awards, insegna a non arrendersi, a chiedere perdono, a perdonare, ad amarsi, ma soprattutto insegna ad ascoltare.

Da domani, guarderò tutti dritto negli occhi. Da domani, ascolterò attentamente tutte le voci.” (Ishida)

Come “direbbe” Shoko Nishijmia: “Ci vediamo!

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NOTHING TO HIDE documentary (Eng, 2017)